Il film Le Stanze Aperte potrebbe oggi risollevare il problema della chiusura degli O.P.G. Proiezione e dibattito al C.S.M. Centro di salute mentale di Napoli

Chi si è chiesto dove sono finiti gli internati?

Le REMS hanno funzionato?

Queste e molte altre riflessioni a 10 anni dalla realizzazione del film sono state le domande poste dai partecipanti all'Audit della formazione del personale Asl C.S.M. Centro di salute mentale di Napoli.

Le Stanze Aperte suscita sempre commozione.

Anche a questa proiezione i partecipanti all'Audit della formazione del personale Asl C.S.M. Centro di salute mentale di Napoli , hanno asserito che "in molti ha smosso tanti ricordi, tutti si sono emozionati, e a qualcuno, è scesa qualche lacrima".

Il dibattito sulle condizioni dell’internamento detentivo conferma che è un film che ha dimostrato il valore sociale di una cultura sommersa e che ha squarciato il silenzio permettendo a molti di conoscere l'O.P.G. Ospedale Psichiatrico Giudiziario "da dentro".

Ha messo in risalto che il film ha ancora una volta squarciato il silenzio sugli O.P.G. Ospedali Psichiatrici Giudiziari e soprattutto ha rammentato quanto sia necessario rivedere cosa siano state queste istituzioni.

 

Le Stanze Aperte è  un lavoro sul tema dei diritti negati. Un film che con sensibilità, professionalità, empatia dà voce al silenzio e assume, nei momenti più alti un aspetto onirico, spiazzante, dovuto all'uso  della poesia e di musiche sinfoniche classiche, in rapporto ad un contesto affatto armonico. Squarciare silenzi, stimolare la riflessione sul recupero degli internati e sulla condizione più generale delle carceri, provando ad abbattere i muri tra il dentro e fuori, costruendo ponti, ridestando le coscienze civili dal torpore, ma anche attraverso il mezzo artistico permettere ai detenuti di interrogarsi sulla loro condizione e sul loro vissuto interiore. Tutto ciò, unito ad un'attenta sperimentazione tecnica, nel racconto verità: "Le stanze aperte", prodotto dalle associazioni Ved e Baruffa film.

Un film che si snoda su un doppio filo narrativo, reale e sceneggiato ma pur sempre partendo da storie vere, le vite interrotte degli internati dell'ex Opg di Secondigliano, dove nel 2009 ebbe luogo il trasferimento dei detenuti dalla sede di S. Eframo, ritenuto inagibile.

La sceneggiatura è affidata a Giuliana Del Pozzo, anche attrice, che a telecamere accese e in qualità di documentarista, come racconta durante il seminario, si è introdotta nell'edificio entrando in contatto con i protagonisti per poter apprendere le vicende quotidiane di una realtà separata dal reale da un perenne muro. Dalla testimonianza raccolta ha costruito un filone narrarivo, che si è sviluppato man mano da una serie di canovacci, pian piano ridisegnati attraverso le storie che incontrava.  

Una scrittura narrativa che entra nella mente degli internati, facendosene portavoce ed esprimendo cosi il loro vissuto emotivo rispetto all'idea di libertà  insieme invocata e temuta. Il tanto desiderato ritorno a casa, con tutti i cambiamenti emotivi che ciò comporterà, mostrerà una realtà nuova, antagonista. Come ben mostra il film a dominare all'esterno è la disgregazione delle relazioni sociali e in primis familiari a cui la condizione di internato condanna.

Fondamentale il ruolo guida dell'attore Vincenzo Merolla, unico interprete professionista, che ha trascorso molte ore del giorno con i detenuti, nelle celle, provando a capire il limite della loro libertà, entrando nelle loro teste, confrontandosi con l'alterita' che in quanto tale fa paura.

 È questo il fil rouge dell'opera, una sorta di ricerca, come la definisce Maurizio Giordano "un'operazione pittorica che oscilla tra il bianco e nero, tra la luce e il buio dipingendo la mente dei folli".

Un'alternanza, specchio di quella emotiva, che è mostrata nella fotografia, di grande valore comunicativo, dell'opera. Il docu-film che ha ricevuto il premio "Parole immagini suoni. Squarciare i silenzi" si può leggere, proprio come la condizione dell'internato interpretato da Vincenzo Merolla, in un'ottica universale. L'attore non interpreta dunque uno specifico personaggio, non ha una fisionomia psicologica e relazionale propria, ma tra realtà, follia e sogno, incarna metaforicamente una condizione universale e insieme segno dell'anonimato a cui sottostavano gli internati, nient'altro che numeri.

Un'alternanza, specchio di quella emotiva, che è mostrata nella fotografia, di grande valore comunicativo, dell'opera. Il docu-film che ha ricevuto il premio "Parole immagini suoni. Squarciare i silenzi" si può leggere, proprio come la condizione dell'internato interpretato da Vincenzo Merolla, in un'ottica universale. L'attore non interpreta dunque uno specifico personaggio, non ha una fisionomia psicologica e relazionale propria, ma tra realtà, follia e sogno, incarna metaforicamente una condizione universale e insieme segno dell'anonimato a cui sottostavano gli internati, nient'altro che numeri.

"La vita vera è nella testa" afferma l'internato protagonista nel docufilm quasi a rappresentare una condizione in cui i limiti tra fantasia e realtà sono annullati, così come quelli tra reale e sceneggiato nel lavoro dei fratelli Giordano.

Merolla nel rivedere il film proiettato sullo schermo si è detto ancora più emozionato della prima volta. Tanta l'umanità che ha incontrato tra quelle celle e l' empatia che si è stabilita con i cosiddetti "pazzi" a cui ha dato parola e volto. "L'attore e l'uomo camminano insieme. Ma è importante mettere il bello dell'attore nell'uomo" esclama Vincenzo. Importante però è studiare, "osservare a teatro e attraverso il teatro" perché un talento naturale possa crescere e svilupparsi.