VIDEO: INCONTRO-LEZIONE CON GIUSEPPE BORRONE
LABORATORIO DI PRODUZIONI AUDIOVISIVE, TEATRALI E CINEMATOGRAFICHE
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Orientale, la critica cinematografica con Giuseppe Borrone ospite del Lab di Giordano
Lo storico Marc Bloch in “Apologia della Storia” scrive che “i momenti di crisi delle società sono quelli in cui la storia viene messa in discussione”. Ecco perché il Prof. Francesco Giordano, nel momento in cui la storia del cinema viene mortificata da una classe politica insensibile al grido di dolore degli operatori del settore, ha deciso di enucleare uno spazio di riflessione critica e storica all’interno del proprio Laboratorio di Produzioni audiovisive, teatrali e cinematografiche, attivato in modalità e-learning presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”, invitando, nell’ambito del ciclo di incontri con i protagonisti del comparto dell’audiovisivo, Giuseppe Borrone, critico e storico cinematografico, direttore artistico di cineforum e soprattutto autore del “Dizionario del Nuovo Cinema Napoletano“, un corposo catalogo critico di ben 500 film recensiti di 200 autori tra cui i fratelli Francesco e Maurizio Giordano, presenti con il premiato “Le Stanze aperte”.
Ebbene, l’incipit di Giuseppe Borrone è stato così folgorante da aver immediatamente rapito l’attenzione degli studenti, particolarmente allettati dalla prospettiva di una carriera da critici cinematografici che sentono nelle loro corde in quanto coerente con il loro percorso di studi universitari: “Bisogna fare attenzione non a ciò che si dice nel film ma a ciò che dice il film”, cioè, il messaggio che si prefigge di veicolare e il cui corollario è ciò che sosteneva il poeta Ugo Foscolo: “L’arte non consiste nel rappresentare cose nuove bensì rappresentare con novità”.
E, infatti, anche nel cinema il “come” è la cifra artistica di un film, ciò che lo eleva da prodotto d’intrattenimento e di evasione a opera d’arte.
Eppure, come sottolineato dal Prof. Giordano, non esiste un indirizzo di studi specifico per gli aspiranti critici cinematografici, ragion per cui, come consigliato da Giuseppe Borrone, la via “maestra” (è proprio il caso di dirlo) è vedere il maggior numero possibile di film in modo da affinare la propria sensibilità estetica e il proprio gusto cinematografico anche perché anche per la critica cinematografica come ravvisava Thomas Stearns Eliot: “E’ possibile adottare una teoria e convincersi solo dopo che ci piacciono le opere d’arte che ad essa si adeguano. Ma sono sicuro che le mie teorie sono state epifenomeni dei miei gusti ed è così in quanto sono frutto della mia esperienza diretta con quegli autori che influirono su ciò che scrissi”. Ecco perché, come ha ammonito Borrone, non sempre il più bramato e prestigioso riconoscimento in ambito cinematografico, il Premio Oscar, è indice dello status di capolavoro di un prodotto cinematografico; non per nulla, lo scrittore Miguel de Cervantes, l’autore di uno dei capolavori della letteratura di ogni tempo, il “Don Chisciotte della Mancia”, amava ripetere che ogni volta che partecipava a un concorso letterario ambiva sempre al secondo posto dal momento che il primo viene sempre assegnato sulla base di motivazioni che esulano da una valutazione obiettiva delle qualità artistiche delle opere in concorso.
Ben vengano, dunque, esperienze laboratoriali come quella del Prof. Giordano che garantisce ai propri studenti una full immersion nel mondo della Settima Arte in quanto coniuga l’opportuna formazione teorica con la possibilità di interfacciarsi con chi il cinema lo fa, con eccellenti risultati, o lo “vive” per passione come Giuseppe Borrone che ha regalato un altro illuminante spunto di riflessione: assurge al rango di capolavoro non il film che fa man bassa di “statuette” ma quello che riesce a sprigionare significati diversi in periodi diversi “parlando” a tutti proprio come l’opera omnia del più grande drammaturgo di tutti i tempi, William Shakespeare, da cui il cinema ha attinto a piene mani: in fin dei conti, il principe danese Amleto, ha fatto notare Borrone, altri non è che l’incarnazione delle ansie, delle frustrazioni e dell’inquietudine dei giovani di ogni epoca che faticano a uscire dal cono d’ombra dei loro padri e perciò scivolano dal “parricidio inconscio”, descritto da Freud, a quello reale di cui è sempre più ricca la cronaca nera.
D’altronde, come osserva Nadia Fusini, tra i più acuti esegeti dell’opera del “Bardo”: “Amleto è dunque prigioniero di un Tu che gli manifesta degli ordini: quel Tu è il Padre. E’ lui che pone, o impone, il senso intorno a cui Amleto vanamente gira”.
Alla luce di quanto detto finora, non è quindi fuorviante la suggestione, ispirata dalla circostanza che molti influenti cineasti, come i più acclamati esponenti della “nouvelle vague”, da Godard a Truffaut, in origine erano critici cinematografici che declinavano la critica come il migliore apprendistato in vista del loro passaggio dietro la macchina da presa, secondo la quale per esercitare un pensiero critico scevro di condizionamenti ideologici e di pregiudizi (come da etimo del termine “critica”, il verbo greco antico “krino” che significa “secernere , separare ciò che è giusto da ciò che è sbagliato, il torto dalla ragione”) il critico deve avere una conoscenza approfondita di tutti i meccanismi, anche quelli tecnici, della complessa macchina cinematografica esattamente come il regista.
Infine, sollecitato dal giornalista Renato Aiello a un confronto tra il cinema italiano, che beneficia di provvedimenti miopi e scriteriati per mitigare le ricadute negative di un’epidemia di Covid che continua a mordere, e quello francese, da sempre patria d’elezione del cinema d’essai , Giuseppe Borrone ha amaramente constatato che la Francia è ormai l’ultimo avamposto dove andare al cinema è un rito sacro come partecipare alla Santa Messa il giorno di Natale.
VALENTINA SORIA
Giornalista
Ufficio stampa laboratorio di produzioni audiovisive teatrali, cinematografiche Unior
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